La nevralgia del trigemino è una sindrome dolorosa che colpisce il volto nel territorio corrispondente all’innervazione di una o più branche del nervo trigemino. Il trigemino è un nervo cranico responsabile della sensibilità di tutto il volto. Trasporta anche gli impulsi motori per i muscoli masticatori. Emerge dal cranio già suddiviso in tre branche: branca oftalmica, che innerva la fronte con la palpebra superiore, l’occhio e parte della mucosa nasale; branca mascellare, che innerva palpebra inferiore, regione zigomatica, naso, arcata dentaria e labbro superiore; branca mandibolare, che innerva la mandibola con la sua arcata dentaria, il labbro inferiore e l’orecchio. La nevralgia esordisce raramente prima dei 40 anni.
Si presenta con una successione di fitte dolorose lancinanti di brevissima durata (pochi secondi) che insorgono spontaneamente o vengono scatenate da stimoli banali come bagnarsi il volto, parlare, masticare. Talvolta è sufficiente il semplice sforamento della cute in alcune aree, dette pertanto “trigger-points”. Il dolore è ggeneralmente di un intensità estrema. In più del 40% dei pazienti la sintomatologia è localizzata nel territorio della seconda branca, il 35% presenta dolore nella terza branca, il 19% nella prima. Due branche possono essere coinvolte contemporaneamente. Tra un attacco e l’altro il dolore scompare completamente, ma è stata descritta una variante caratterizzata dalla persistenza di un lieve dolore di fondo.
Nell’area interessata possono residuare delle alterazioni della sensibilità, ma difficilmente vi è una perdita significativa. La diagnosi non presenta particolari difficoltà, dal momento che la sintomatologia è inconfondibile. Bisogna invece evitare di etichettare e curare come nevralgia del trigemino altre forme di dolore cranio-facciale (cefalea a grappolo, cefalea cronica parossistica, dolore facciale atipico, sinusite frontale o mascellare, mal di denti). Il disturbo può essere idiopatico o presentarsi insieme ad altre malattie: potrebbe essere il sintomo di esordio di una sclerosi multipla o manifestarsi come esito di un Herpes Zoster nello stesso territorio. Molto spesso con la Risonanza Magnetica dell’encefalo (esame da eseguirsi in tutti i casi, soprattutto per escludere una patologia tumorale), si mette in evidenza un “conflitto vascolo-nervoso”, cioè un contatto intracranico tra il nervo ed un ramo arterioso. In questi casi è possibile risolvere il problema in maniera chirurgica separando le due strutture.
Eseguito da mani esperte, è un intervento a basso rischio e breve convalescenza, con elevate percentuali di successo. La carbamazepina è invece la prima scelta se si opta per il trattamento farmacologico, efficace in circa 2 casi su 3. Il suo effetto può essere potenziato associando baclofen. In presenza di un trigger-point identificabile, l’infiltraziione cutanea locale con ropivacaina può offrire beneficio per diversi mesi.
Sono inoltre disponibili varie metodiche di trattamento percutaneo miranti a desensibilizzare il ganglio trigeminale mediante iniezione locale di sostanze, shock termico da radiofrequenza, compressione con palloncino. Dimostrano tutte una buona efficacia a lungo termine, con lo svantaggio di produrre perdita di sensibilità permanente all’emivolto. Questo inconveniente pare non si presenti quando il trattamento viene effettuato con glicerolo. Di recente è stata segnalata la possibilità di ottenere beneficio anche con la neurostimolazione midollare.
Gli elettrodi attivi epidurali devono essere collocati a livello dei primi metameri cervicali, ospitanti il nucleo sensitivo midollare del trigemino noto come “radice discendente” (riceve buona parte delle sensazioni provenienti dal volto). Prima di effettuare un impianto permanente, è opportuno sperimentarne l’efficacia introducendo solo l’elettrocatere ed alimentandolo provvisoriamente attraverso un collegamento esterno. Se non si ottiene il beneficio desiderato, l’elettrocatetere può essere facilmente rimosso. La neurostimolazione offre quindi un’ulteriore opzione terapeutica a quei pazienti che non rispondono o tollerano male il trattamento farmacologico e per i quali non si può prendere in considerazione un intervento chirurgico più invasivo.
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